IL TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE
   Ha pronunziato la seguente ordinanza sul ricorso n. 4188 del  1994,
 proposto  da  Giotta  Maria  Antonietta, rappresentata e difesa dagli
 avv.ti  Gennaro  Bellizzi  e  Vincenzo  Cersosimo,  per  il  presente
 giudizio  ex  lege  domiciliata  presso  gli  uffici di segreteria di
 questo Tribunale, in Catanzaro contro  il  Ministero  della  pubblica
 istruzione,  in  persona  del  Ministro  pro-tempore, rappresentato e
 difeso dall'Avvocatura distrettuale dello  Stato  di  Catanzaro,  per
 l'annullamento  del  provvedimento  del  Provveditorato agli studi di
 Cosenza - Ufficio pensioni scuola media - 13161 del 23 luglio 1994;
    Visto il ricorso con i relativi allegati;
    Visto l'atto  di  costituzione  in  giudizio  dell'amministrazione
 resistente;
    Viste  le memorie prodotte dalle parti a sostegno delle rispettive
 difese;
    Visti gli atti tutti della causa;
    Relatore alla Camera di consiglio del 26  gennaio  1995  il  dott.
 Roberto  Politi;  uditi  altresi  l'avv. Bellizzi per la ricorrente e
 l'avv. dello Stato Ranucci per l'amministrazione resistente;
    Ritenuto in fatto e in diritto quanto segue:
                               F A T T O
    Espone la ricorrente di aver inoltrato  -  in  qualita'  di  erede
 testamentaria  della prof. Delfina Scaldaferri, deceduta il 27 giugno
 1994  -  domanda  di  corresponsione  dell'indennita'  di  buonuscita
 maturata   da   quest'ultima  per  effetto  di  un'ultraquarantennale
 attivita' di servizio.
    Nel sottolineare la mancanza di crediti legittimi  della  predetta
 docente,  soggiunge  la  ricorrente  di  aver  presentato  ricorso in
 opposizione avverso il provvedimento negativo emanato a fronte  della
 richiesta in precedenza rammentata.
    L'esito dell'esperito gravame amministrativo conduceva, ancora una
 volta,  alla reiezione dell'istanza, dall'amministrazione motivata in
 relazione alla valenza ostativa al riguardo rivelata dall'art. 5  del
 d.P.R. 29 dicembre 1973, n. 1032.
    Avverso  tale  determinazione  la  ricorrente  deduce  i  seguenti
 profili di censura:
      1) violazione di legge;
      2) eccesso di potere per disparita' di trattamento.
    Viene in primo luogo rammentato come la Corte costituzionale,  con
 pronunzia n. 8 del 19 gennaio 1972, abbia dichiarato l'illegittimita'
 costituzionale del terzo comma dell'art. 2126 del c.c. nella parte in
 cui  escludeva  che  il  lavoratore  potesse  disporre per testamento
 dell'indennita' di fine rapporto.
    Nell'argomentare  circa  la  presenza  di  evidenti   profili   di
 disparita'  di  trattamento  relativi alla disciplina applicabile, in
 analoga fattispecie, ai lavoratori subordinati privati ed ai pubblici
 dipendenti, censura la  ricorrente  l'interpretazione  dall'Autorita'
 emanante  fornita  della rammentata disposizione ex art. 5 del d.P.R.
 n. 1032/1973, conseguentemente invocandone l'annullamento.
    Costituitasi in giudizio, l'Amministrazione  resistente  eccepisce
 l'infondatezza  delle  esposte doglianze, insistendo per la reiezione
 del gravame.
    La  domanda  di   sospensione   dell'esecutivita'   dell'impugnato
 provvedimento,  dalla  parte  ricorrente  avanzata in via incidentale
 viene da questo tribunale accolta nell'odierna camera di consiglio.
                             D I R I T T O
    1. - La  disamina  della  proposta  vicenda  contenziosa  transita
 necessariamente  attraverso  l'esatta  individuazione  dell'ambito di
 applicazione della disposizione di  cui  all'art.  5  del  d.P.R.  29
 dicembre  1973  n.  1032, sulla quale l'amministrazione ha fondato le
 ragioni del diniego opposto alla richiesta formulata dalla ricorrente
 al fine del riconoscimento - in base a  successione  testamentaria  -
 dell'indennita' di buonuscita maturata in capo alla dante causa prof.
 Scaldaferri;  al  riguardo  rappresentando l'interessata l'assenza di
 alcuno dei congiunti indicati dal primo comma della predetta norma.
    Quest'ultima, con testamento pubblico in data 20 aprile 1994 aveva
 appunto  designato  l'odierna  ricorrente  in   qualita'   di   erede
 universale,  espressamente  manifestando  la  volonta' di disporre in
 favore di  essa  dell'intero  compendio  patrimoniale,  ivi  compresa
 l'indennita' di buonuscita.
    Proprio   la   trasmissibilita'  per  testamento  della  posizione
 giuridica riguardante la spettanza del trattamento di  fine  rapporto
 e'   stata   esclusa   dall'Amministrazione,   in   presenza  di  una
 formulazione di legge che precluderebbe siffatta  disponibilita'  del
 diritto onde trattasi.
    L'art.  5  del  d.P.R.  29  dicembre  1973 n. 1032 prevede infatti
 (primo comma)  che  in  caso  di  morte  del  dipendente  statale  in
 attivita'  di  servizio, l'indennita' di buonuscita (nella misura che
 sarebbe spettata al  dipendente)  compete,  nell'ordine,  al  coniuge
 superstite e agli orfani, ai genitori, ai fratelli e sorelle.
    2. - Dubita il tribunale che tale disposizione rivesta i caratteri
 della  legittimita' costituzionale - segnatamente per quanto concerne
 la compatibilita' con le previsioni di cui agli  agli  art.  3  e  36
 della  Costituzione  -  nella  parte  in  cui  non prevede - e quindi
 esclude - che il pubblico dipendente possa  disporre  per  testamento
 dell'indennita'  di  buonuscita spettantegli: per l'effetto valutando
 l'esigenza, in relazione  alla  non  manifesta  infondateza  ed  alla
 rilevanza  della  relativa  questione,  di  devolverne d'ufficio - ai
 sensi degli artt. 1 della legge costituazionale 9 febbraio 1948 n.  1
 e  23  della  legge  11  marzo  1953  n.  87  -  l'esame  alla  Corte
 costituzionale.
    2.1 - Ben e'  consapevole  il  tribunale  remittente  come  la  VI
 Sezione  del  Consiglio  di Stato abbia - con decisione n. 835 del 19
 ottobre 1987 - ritenuto  manifestamente  infondata  la  questione  di
 legittimita'  costituzionale  dell'art.  5  onde  trattasi (nel testo
 modificato dall'art. 7 della legge n. 177 del 1976), con  riferimento
 agli  artt. 3, 35 e 36 della Costituzione proprio nella parte in tale
 norma non prevede che il dipendente dello Stato  possa  disporre  per
 testamento dell'indennita' di buonuscita, nel caso in cui esso deceda
 in   servizio  senza  lasciare  parenti  che  la  legge  indica  come
 beneficiari dell'indennita' stessa.
    Tale   assunto   e'  stato  dal  predetto  giudice  fondato  sulla
 considerazione che l'indennita' di buonuscita  erogata  dall'ENPAS  a
 favore  dei  dipendenti  dello  Stato  all'atto  della cessazione del
 servizio  rivestisse  natura  previdenziale  e  non  di  retribuzione
 differita: nel caso di decesso del dipendente in servizio, il diritto
 al   conseguimento   del  relativo  ammontare  non  configurandosi  -
 conseguentemente  -  trasmissibile  a  titolo  ereditario,  essendone
 disposta  la  devoluzione  direttamente  ai  soggetti  indicati dalla
 legge, in conformita' con la funzione propria della  buonuscita'  che
 ne  giustifica  la  disciplina  anche con riferimento al principio di
 uguaglianza e con riguardo al diverso trattamento  all'indennita'  di
 anzianita' (art. 2122 del c.c.).
    Il presupposto logico di tale posizione e' stato quindi oggetto di
 successiva  rimeditazione ad opera della medesima Sezione VI (sent. 5
 gennaio  1992  n.  39),  la  quale  ha  diversamente   ritenuto   che
 l'indennita'   corrisposta   a  fine  rapporto  (c.d.  indennita'  di
 buonuscita)  costituisca  una  componente  della   retribuzione   dei
 pubblici   dipendenti,   non   potendo   rappresentare   aspetto   di
 differenziazione - nell'ambito dei trattamenti di fine rapporto -  il
 carattere  previdenziale  di  tale indennita': lo scopo previdenziale
 atteggiandosi con omogenea valenza in relazione a tutti i trattamenti
 di fine servizio e sostanziandosi in  un  riconoscimento  retributivo
 non  tanto  differito,  quanto accantonato presso lo stesso datore di
 lavoro o in appositi fondi preordinati alla loro erogazione (da  tale
 impostazione scaturendol'affermazione per cui non c'e' trattamento di
 fine  rapporto che non abbia carattere previdenziale e, tuttavia, non
 sia retribuzione destinata a tale scopo).
    2.2. - Anche a voler prescindere dall'evoluzione giurisprudenziale
 che ha contribuito a delineare un  processo  di  transizione  da  una
 concezione   eminentemente   previdenziale   del'indennita'  di  fine
 rapporto  ad  una  considerazione  di  carattere  piu'   propriamente
 retributivo  (con finalita' previdenziale), osserva il Tribunale come
 con decisione n. 243 del 5-19 maggio 1993 codesta Corte, nel prendere
 atto "della progressiva erosione della rilevanza e della portata  dei
 vari  indici  che  inducevano  ad  escludere  la  natura  retributiva
 dell'indennita' di buonuscita", abbia nel contempo rilevato come  "la
 piu'  recente  giurisprudenza  ha abbandonato l'iniziale orientamento
 propenso a riconoscere ad essa natura solo previdenziale", pervenendo
 a  ricondurla  "alla  categoria  generale  dei  trattameti  di   fine
 rapporto".
    Tale  pronuncia  ha  altresi' affermato che "la natura retributiva
 dell'indennita' di fine rapporto permane e vale  quali  che  siano  i
 soggetti  tenuti  ad  erogare  il  trattamento  ..  quale  che sia il
 meccanismo di alimentazione della provvista ..,  quali  che  siano  i
 soggetti su cui grava l'onere retributivo in senso lato".
    2.3.  - Se, dunque, l'esclusiva natura previdenziale in precedenza
 riconosciuta all'indennita' di buonuscita in  favore  dei  dipendenti
 statali  ha  potuto  rappresentare  un elemento preclusivo al fine di
 consentirne  la   disponibilita'   in   via   ereditaria   da   parte
 dell'intestatario  - con riveniente limitazione dei soggetti titolari
 a succedere in tale posizione patrimoniale alla declaratoria  di  cui
 all'illustrato  art.  5  del  d.P.R.  n.  1032/1972  - alla rinnovata
 considerazione  in  termini  retributivi  (sia  pure   con   funzione
 previdenziale)  del  trattamento  di  fine rapporto onde trattasi non
 puo' non conseguire una rimeditazione anche in ordine  al  rammentato
 divieto alla delazione testamentaria.
    Il  riconosciuto  carattere retributivo di tale attribuzione - che
 va ricollegata alla circostanza  della  cessazione  del  rapporto  di
 pubblico  impiego  e  liquidata  secondo  la pertinente disciplina di
 calcolo  in  ragione  del  numero  di  anni  di   servizio   maturati
 dall'interessato  -  implica  infatti  che l'indennita' di buonuscita
 entri pleno  jure  nel  compendio  patrimoniale  del  de  cuius,  con
 conseguente  riconoscibilita'  della  facolta'  di disporne (anche) a
 mezzo di testamento.
    Altrimenti opinandosi, verrebbe ad escludersi  arbitariamente  dal
 concetto  onnicomprensivo  di  retribuzione (e dal connesso regime di
 trasmissibilita' a mezzo di atti di  disposizione  mortis  causa)  un
 elemento  che  in  esso  -  quantunque  la  relativa liquidazione sia
 differita  rispetto  al  momento  di  maturazione  -  va  sicuramente
 ricompreso:  al  riguardo non potendosi non richiamare l'insegnamento
 da  codesta  Corte  reiteratamente  ribadito  per   quanto   concerne
 l'indennita'  di  fine  rapporto  spettante  ai dipendenti degli enti
 locali,  nonche'  per  l'indennita'  di  buonuscita  in  favore   dei
 dipendenti statali, giusta la pronunzia in precedenza indicata.
    Il  differenziato  regime che caratterizza la trasmissibilita' dei
 diritti patrimoniali a titolo di buonuscita (connesso  alle  ripetute
 indicazioni  limitative  quanto  alla trasmissibilita' testamentaria)
 rispetto alla libera disponibilita' (anche mortis causa) al  titolare
 riconosciuta  in  relazione  agli  altri elementi della retribuzione,
 appare quindi  vulnerare  il  principio  di  cui  all'art.  36  della
 Costituzione,   il  quale,  nel  garantire  il  diritto  alla  giusta
 retribuzione, non introduce alcuna ipotesi  di  differenziazione  fra
 componenti  retributive  spettanti  al lavoratore, piuttosto sancendo
 che  l'indennita'  di  fine  rapporto  deve  essere  rapportata  alal
 retribuzione  ed  alla  durata del rapporto e quindi, alla qualita' e
 quantita' del lavoro.
    Inoltre, se e' vero  che  l'art.  36  richiamato  prevede  che  la
 retribuzione  spettante  al  lavoratore  e'  finalizzata  a garantire
 un'esistenza libera  e  dignitosa  a  quest'ultimo  ed  alla  propria
 famiglia, viene ulteriormente in considerazione la circostanza che la
 denegata  possibilita'  di disporre per testamento dell'indennita' di
 buonuscita possa pregiudicare le esigenze di vita e di  sostentamento
 di  soggetti  che, quantunque non compresi nel novero dei destinatari
 di tale beneficio economico  ex  art.  5  del  d.P.R.  n.  1032/1973,
 nondimeno   facciano   parte   del   nucleo  familiare  del  pubblico
 dipendente: conseguentemente venendosi a determinare  un  pregiudizio
 patrimoniale  per  effetto  della  mancata trasmissione ad essi di un
 elemento che si e' avuto modo di constatare ha effettivamente  natura
 retributiva.
    Che  tale  ordine  di  considerazione implichi un sacrificio delle
 aspettative patrimoniali dei componenti del nucleo familiare  al  cui
 soddisfacimento  e', fra l'altro, preordinata la retribuzione (intesa
 quale  comprensiva  dell'indennita'  di   buonuscita   spettante   al
 lavoratore)  non e' revocabile in dubbio; per l'effetto constatandosi
 come la preclusa possibilita' di  delazione  testamentaria  riverberi
 una diretta efficienza lesiva in ordine a tale ordine di pretese, che
 il  rammentato disposto costituzionale direttamente tutela postulando
 la  finalita'  di  sostentamento familiare propria della retribuzione
 spettante al lavoratore.
    In altri termini, l'applicazione all'indennita' di  buonuscita  di
 un  siffatto  regime di limitata disponibilita' - sia pure per quanto
 concerne la possibilita'  di  delazione  testamentaria  del  relativo
 compendio   patrimoniale  -  viene  ad  incidere  sulla  liberta'  di
 determinazione del soggetto in ordine ad un elemento retributivo  (in
 quanto  tale  ricompreso  nell'ambito  di  tutela  ex  art.  36 della
 Costituzione).  determinando   petanto   il   sacrificio   -   invero
 irragionevole  -  delle  aspettative  di  eventuali  componenti della
 famiglia  del  lavoratore  non  ricompresi  nella  declaratoria   dei
 soggetti  ai quali l'indennita' stessa, ai sensi del ripetuto art. 5,
 puo' essere trasmessa dopo la morte dell'intestatario.
   2.4. - Nel rammentare come codesta Corte - con pronunzia n.  8  del
 19  gennaio  1972  -  ha  avuto modo di dichiarare - sotto il profilo
 della violazione dell'art. 3 della  Costituzione  -  l'illegittimita'
 dell'art.  2122  del  c.c.,  nella  parte  in  cui detta disposizione
 escludeva che il prestatore di lavoro potesse disporre per testamento
 dell'indennita' di fine rapporto, in mancanza del coniuge, dei figli,
 dei parenti entro il terzo grado e  degli  affini  entro  il  secondo
 grado, ritiene di Tribunale che, per quanto riguardal'interpretazione
 del  primo  comma  dell'art.  5  del d.P.R. n. 1032/1973, ricorra una
 eadem ratio dispositiva che non puo' non condurre -  omogeneamente  a
 quanto  ritenuto  per  la  richiamata  disciplina  civilistica - alla
 declaratoria di illegittimita' costituzionale della  disposizione  da
 ultimo richiamata.
    Se  e'  infatti vero che il trattamento di fine rapporto spettante
 ai  lavoratori  subordinati  privati  e  l'indennita'  di  buonuscita
 riconoscibile  ai dipendenti statali sono sicuramente suscettibili di
 omogenea  considerazione  quanto  al  carattere   retributivo   delle
 relative  spettanze,  va  allora  rilevato  come  l'esclusione  dalla
 disponibilita' per testamento di  quest'ultima  -  che  alla  lettura
 dell'art.  5  del d.P.R. n. 1032/1973 tuttora consegue per i soggetti
 di tale norma destinatari, a differenza  di  quanto  previsto  per  i
 lavoratori  privati  dal  citato art. 2122 del c.c. per effetto della
 pronunzia di codesta Corte n. 8/1972 - integri  la  presenza  di  una
 evidente   disparita'   di   trattamento  fra  diverse  categorie  di
 lavoratori, la cui  posizione  si  rivela  invece,  ai  fini  di  che
 trattasi, pienamente assimilabile.
    Nella  richiamata  pronunzia  n.  8/1972 codesta Corte ritenne che
 siffatta disparita'  di  trattamento  non  trovasse  una  adeguata  e
 razionale   giustificazione;  ulteriormente  osservandosi  come  tale
 convincimento  tragga  ora  ulteriori  elementi  di  conferma   dalle
 indicazioni  di cui alla citata sentenza n. 243/1993, con la quale e'
 stato affermato che "la rilevata identita' di natura e funzione delle
 indennita' di fine rapporto . .  esclude  .  .  che  le  varieta'  di
 struttura  e  di  disciplina che esse presentano nei vari settori del
 lavoro subordinato possano  tradursi  in  sperequazioni  sostanziali,
 salvo  che  queste  ultime  non  siano  razionalmente ricollegabili a
 specifiche diversita' delle situazioni regolate, tali da giustificare
 una diversa considerazione delle esigenze alle quli si  riferisce  la
 funzione economico-sociale dell'istituto".
    3.  -  Considerata  dunque la non manifesta infondatezza (ai sensi
 dei richiamati artt. 3 e 36 della Costituzione), nonche' la rilevanza
 della questione  (atteso  che  la  presente  vicenda  contenziosa  e'
 insuscettibile  di  essere decisa indipendentemente dalla valutazione
 della compatibilita' costituzionale del disposto di cui  all'art.  5,
 primo  comma  del  d.P.R.  n.  1032/1932),  determina il tribunale di
 rimettere  all'esame  della  Corte  costituzionale  il  giudizio   di
 legittimita' costituzionale dell'art. 5 anzidetto, nella parte in cui
 non  prevede  che  il  dipendente  dello  Stato  possa  disporre  per
 testamento dell'indennita' di buonuscita, nel caso in cui il medesimo
 deceda in servizio senza lasciare parenti che la  legge  indica  come
 beneficiari dell'indennita' stessa.